24 Dicembre 2023
Mestre
Carissimi confratelli, siamo ogni giorno aggiornati in tempo reale riguardo le guerre che si consumano sugli altari del mondo e il Natale è da sempre l’occasione per appelli alla pace nella speranza di ottenere almeno qualche tregua. Il mondo è armato. E forse lo siamo anche noi. Il presepe ci mette a nudo e, come un body scanner, rileva quelle armi che abbiamo nascosto così bene che la nostra memoria non si ricorda neanche più dove siano. Caro presepe, di cosa sono ancora armato?
Colpiscono sempre queste parole di Atenagora I, Patriarca di Costantinopoli1: La guerra più dura è la guerra contro sé stessi. Bisogna arrivare a disarmarsi. Ho perseguito questa guerra per anni, ed è stata terribile. Ma sono stato disarmato. Non ho più paura di niente, perché l’amore caccia il timore. Sono disarmato della volontà di aver ragione, di giustificarmi squalificando gli altri. Non sono più sulle difensive, gelosamente abbarbicato alle mie ricchezze. Accolgo e condivido. Non ci tengo particolarmente alle mie idee, ai miei progetti. Se uno me ne presenta di migliori, ma buoni, accetto senza rammaricarmene. Ho rinunciato al comparativo. Ciò che è buono, vero e reale è sempre per me migliore. Ecco perché non ho più paura. Quando non si ha più nulla, non si ha più paura. Se ci si disarma, se ci si spossessa, ci si apre al Dio-Uomo che fa nuove tutte le cose, allora Egli cancella il cattivo passato e ci rende un tempo nuovo in cui tutto è possibile.
Disarmarsi per giungere disarmati dinanzi al presepio della vita dei nostri fratelli. Va abbandonata la sindrome dei pregiudizi, rigettato ogni peccato che vorrebbe addomesticare l’anima, stracciata ogni sentenza che mette per sempre sul banco degli imputati, deposto l’io ipertrofico che ci trasforma in veri e propri egosauri2. Disarmarsi è una lotta contro sé stessi. Disarmarsi significa trasformarsi da conquistatori in donatori, è accettare di stare nella complessità dei legami, è spogliarsi di tutto ciò che è una minaccia per l’altro nella convinzione che non bisogna mai aver paura dell’altro perché tu, rispetto all’altro, sei l’altro. Disarmarsi è accorciare le distanze per favorire la prossimità, è vivere l’esodo dall’io al noi. Disarmarsi è possibile, basta non accontentarsi di lasciarsi semplicemente insaponare l’anima. Dobbiamo metterci a tema davanti a Dio e custodire la nostra vita interiore affinché sia il luogo in cui respirare a pieni polmoni gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù (Fil 2,5).
Oggi disarmarsi è anche rinunciare a delle “armi” che sono opportunità. Tra queste la velocità, idolo a cui immoliamo la contemplazione, la meraviglia e la possibilità di abitare e gustare il tempo. Per noi boomer la pausa musicale della vita era lo spazio tra quando volevi fare una ricerca di geografia e il tempo -e la fatica- che ci mettevi per andare in bicicletta da casa fino in biblioteca, se non avevi l’enciclopedia. E se avevi l’enciclopedia, solfeggiavi le pause del tempo cercando negli scaffali di casa il volume e sfogliando, e sfogliando ancora le pagine nella speranza di trovare quella giusta. La velocità è la più potente delle seduzioni: ci affascina perché ci fa sentire di potere sempre di più. “Più veloce” sembra essere la voce interiore del mondo, e la nostra. E cosa ci accade? Lo sappiamo assai bene: la velocità ci toglie presenza3. Disarmarsi dalla velocità così come dal tempo perennemente connesso è un’operazione complessa ma che sta diventando indispensabile se non vogliamo trovarci con l’anima a pezzi e con un pensiero disconnesso da noi stessi. Il dialogo interiore ha bisogno di un metronomo capace di scandire e custodire i tempi della liturgia dell’anima. Abbiamo un disperato bisogno di vita interiore. Lo sai bene anche tu: non puoi stare fuori se non stai dentro, non puoi essere in uscita se prima non sei in entrata verso te stesso. Uno dei rischi che corriamo è di sentirci vittime di quello che gli altri ci fanno. Anche di questo dobbiamo disarmarci per non fare della “scusa” un’arma puntata verso noi stessi. A tal proposito così ha scritto Massimo Recalcati: Noi siamo sempre responsabili di quello che facciamo di ciò che gli altri hanno fatto di noi. Questo è un punto molto importante. La nostra responsabilità consiste nel fare qualcosa di quello che gli altri ci hanno fatto. Qui emerge una responsabilità irriducibile.4
Qui il disarmo diventa molto esigente, estremo, ma anche immensamente liberatorio. San Giuseppe avrebbe potuto trovare mille scuse per distanziarsi da quello che gli stava accadendo. Avrebbe potuto fare la vittima. Invece, responsabilmente, si fa carico dell’imprevedibile e scomodo sogno di Dio. E il Bene assume una forma assai diversa da quella che aveva immaginato. Come a Maria di Nazareth così anche a Giuseppe l’angelo non ha detto “Andrà tutto bene”. Avrebbe mentito, dato che non è andato tutto bene. Ha proposto loro di cogliere un piano inaspettato, inedito, a cui hanno risposto con piena assunzione di responsabilità evitando di accampare attenuanti. In tal senso le competenze di speranza non corrispondono al potere di possedere il risultato finale ma, proprio al contrario, al lasciar andare: lasciar andare il potere di predire noi il finale [...] con tutto il dolore che questo continuo travaglio comporta.5 Dinanzi al presepio è bene che andiamo con la faretra piena del desiderio di affidamento, con la fondina colma di speranza e con l’armatura della carità e della dolcezza. Lo auspicava anche don Bosco: Una cosa che bisogna studiamo insieme di promuovere si è lo spirito di carità e di dolcezza di San Francesco di Sales. Esso va diminuendo tra noi e da quanto ho potuto osservare nelle varie case. Io mi raccomando tanto che questo vero spirito di dolcezza e di carità si eserciti da voi e si faccia di tutto per propagarlo nei soci delle vostre case. L’incoraggiarci così a vicenda con carità e dolcezza sarà sempre il sostegno delle nostre case.6
Un’ultima cosa. In uno dei tanti colloqui delle visite ispettoriali di quest’anno, una persona che ci vuol bene e che condivide la missione con noi, mi ha chiesto di confidarmi quanto aveva in cuore. Vi condivido gli appunti che mi son preso. Queste parole ci indicano alcune vie preziose per disarmarci da tutto ciò che non ha il gusto del Vangelo. Così mi ha detto: Noi laici abbiamo bisogno di vedere salesiani e sacerdoti innamorati di Cristo. Le anime vanno coltivate una ad una. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci coltivi e anche voi sacerdoti avete bisogno di qualcuno che vi coltivi. Prima la vita interiore, poi il resto. Da un sacerdote santo scaturiscono persone sante perché la santità è contagiosa. A me sta a cuore che le anime si avvicinino a Cristo. Una persona accesa, accende coloro che ha attorno. Dobbiamo sostenerci l’un altro: un fratello aiutato dal fratello è una città fortificata. Stando vicino a Cristo c’è un senso ad ogni cosa. Noi abbiamo bisogno di vedervi innamorati di Cristo. Di cosa sei ancora armato? Dio, che nel Natale si è disarmato della sua onnipotenza fino a farsi bambino, ci doni di disarmarci.
don Igino
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1 Aristokles Spyrou (Tsaraplana, 25.03.1886 - Istanbul, 7.07.1972) è stato Patriarca di Costantinopoli dal 1948 col nome di Atenagora I.
2 Cf. Pier Aldo Rovatti, Gli egosauri, Elèuthera, 2019.
3 Antonia Chiara Scardicchio, Futuro fragile, futuro possibile. Educare nel tempo del chiaroscuro, Ed. San Paolo, 2023, p.51.
4 Massimo Recalcati, La forza del desiderio, Qiqaion 2014, p.47.
5 Antonia Chiara Scardicchio, Futuro fragile, futuro possibile. Educare nel tempo del chiaroscuro, Ed. San Paolo, 2023, p.32.
6 Estratto dai Verbali del 2° Capitolo Generale del 3 Settembre 1880 in ASC D 5790117, 1857C8-1857D4. Trascrizione di don Barberis.