OMELIA
Don Armando Stocco (08.05.1926 – 02.02.2023)
Arino di Dolo, 6 febbraio 2023
Gen 1,1-19 Sal 103 Mc 6,53-56
Il 24 marzo 1970 così ha scritto don Armando nel suo diario: Questo è giorno benedetto. Mi giunge dai superiori di Torino, la bella e attesa notizia che sono stato destinato alla missione dei Mixes nel Messico. Maria Ausiliatrice e Don Bosco mi vogliono bene. Voglio corrispondere con l’aiuto del Buon Dio. In lui era forte il desiderio di far toccare almeno il lembo del mantello del Signore a quanti erano lontani da Dio e vivevano in terre lontane. Il desiderio missionario lo abitava da tempo, ma, come scrisse, la concretizzazione del mio desiderio di andare alle missioni straniere si protrasse ancora per molti anni, a causa dell’età avanzata dei miei genitori. Il missionario è colui che risponde alla chiamata di Dio di raggiungere coloro che non sono stati ancora toccati dall’amore di Gesù. Il Vangelo ci dice che toccare il Signore salva. Don Armando lo sapeva e per questo era disposto a tutto. Sapeva che un “tocco” fatto in nome di Dio può salvare una vita. Così racconta in una sua lettera (24 novembre 1995): Una notte stavo dormendo come un ghiro, quando, verso mattina, mi sento l’acqua giù per le spalle. Mi alzo. Pioveva a dirotto. Prendo la mia lanterna magica, illumino il tetto di paglia. Era come un colabrodo. Sposto la brandina di qua, di là, di su, di giù. Niente da fare. Che faccio? Prendo il mio impermeabile, lo stendo sopra la coperta e faccio finta di dormire. Il picchiettio delle gocce, i voli dei pipistrelli e le scorribande dei topolini mi offrirono un intermezzo sinfonico non troppo gradito. Ma che importa? L’importante è stare con la gente, vivere con loro e accompagnarli, aiutarli a crescere più umani e più cristiani. Il fatto che la morte lo abbia colto nel giorno della festa della Presentazione del Signore al Tempio, giorno dedicato alla Vita Consacrata, è un segno che da compimento ad una vita spesa per annunciare il Vangelo della speranza e della gioia. Così don Armando scrisse di sé nel 2005 in occasione del suo 50° di vita sacerdotale.
Sono nato nel comune di Pianiga (VE) l’8 maggio 1926. I miei genitori furono Stocco Domenico ed Elisabetta Giacomello. Sono l’ultimo di sette figli. Allo scoppio della seconda guerra mondiale (1940) il mio parroco, intravedendo la mia inclinazione alla vita sacerdotale, mi mandò a fare gli studi ginnasiali nell’Istituto salesiano di Penango Monferrato (Asti). L’ambiente giovanile salesiano, pieno di spiritualità, di giochi, di studio, mi hanno conquistato. Ho presentato la mia domanda di entrare in Noviziato e il 16 agosto 1945 ho fatto la mia prima professione. Dopo tre anni di duro ma fecondo tirocinio con gli orfani di guerra, i Superiori mi hanno ammesso alla professione perpetua dei voti (16 agosto 1951). Così ho cominciato gli studi di teologia a Bollengo (1951-55), coronati con l’Ordinazione sacerdotale il 1 luglio 1955. Io intanto impegnai la mia vita da salesiano a Venezia (1956-59). Da qui i Superiori mi inviarono all’Oratorio di Schio (VI). Qui ho trascorso 12 anni (1959-70), i più significativi e creativi della mia vita. Schio mi ha arricchito di valori e risorse sufficienti per dedicarmi alle missioni per almeno “cent’anni”. E così, il 7 novembre 1970, senza rompere i legami con Schio, mi sono lanciato fino in Messico dividendo ogni giorno gioie e dolori con gli Indigeni Mixes Chinantecos. Con la mia faccia allegra e il cuore in mano, anche i cuori più granitici si sono aperti. Con le mie mule ho attraversato fiumi e torrenti, percorso foreste, valicato monti e colli. Ma soprattutto ho incontrato mille e mille Cinantecos. Le mie avventure ve le ho scritte nelle mille e più lettere che avete ricevuto.
Don Armando rimarrà in Messico fino al 2016. In occasione di uno dei suoi rientri periodici in Italia, superata quota 90, si rende conto che le forze fisiche non sono più quelle di un tempo e chiede di fermarsi. È salito al Cielo offrendo tutta la sua vita al Signore con l'intenzione esplicita di ottenere la pace in Ucraina.
L’esperienza di Schio fu molto felice per lui e per coloro che lo hanno incontrato tanto che il legame con i suoi allievi della Scuola elementare sono proseguiti fino ad oggi. Ci aveva conquistati, -scriveranno più tardi i suoi allievi- era amico della nostra allegria infantile. Maestro lo è stato di vita, di semplicità, povertà e fiducia, di buon umore e di fede, per tutti noi oratoriani in crescita. Lo stesso don Armando racconta: Schio è stato il mio regno per quasi 12 anni completi. Grazie al Buon Dio, qui, ho incontrato le attività oratoriane, le feste, le passeggiate. Tutto era vissuto con spirito di famiglia, di allegria, di entusiasmo. L’oratorio mi ha anche riempito di un grande spirito missionario. Don Armando, in Italia come in Messico, è stato un uomo di relazione. Sapeva creare un ambiente sereno e allegro con la sua presenza, sapeva unire cielo e terra con la sua gioiosa testimonianza di salesiano e sacerdote. Lui stesso scrisse in una sua lettera: il Buon Dio ci vuole tanto bene. Anche quando non lo meritiamo. Per questo mi sforzo di seminare in tutti i villaggi un sano ottimismo e molta gioia di vivere (21 agosto 1994). A Schio ogni mattina andava a celebrare la Messa presso le Suore Giuseppine. Dieci minuti dall’oratorio, ma lui impiegava anche un'ora nel ritorno, perché si fermava a salutare le persone che incontrava. Una parola, un sorriso, soprattutto nei giorni di mercato, dimenticando gli impegni in oratorio e nella comunità salesiana. Mai alterato, sempre sereno e gioioso come don Bosco amava vedere i suoi figli, era capace di relazioni cordiali ed amichevoli con tutti e anche intime con i più sensibili. Cercava di creare un clima sereno e simpatico anche nella predicazione. Una volta disse: Cari ragazzi, la liturgia di oggi ci parla di alcuni grandi uomini santi che non dobbiamo perdere d’occhio nemmanco per un giorno. Mosè, per esempio, quel grande ebreo che visse nella prima parte della Bibbia. E Giovanni il Battista, che viveva nel deserto in continuazione e si nutriva di cavallette notte e giorno: fu il più grande insetticida del deserto.
In Messico visse 46 anni di ministero sacerdotale come missionario in particolare tra i nativi Mixes e Chinantecos nella Prelatura Mixepolitana di Oaxaca. Vi era andato in prova per cinque anni ma, come lui stesso scrive, i piani di Dio non sono i nostri. Come Gesù anche lui giungeva in villaggi o città o campagne con l’intento di far toccare almeno il lembo del mantello di Gesù. L’azione missionaria, che oggi non ha confini, raggiunge il suo obiettivo proprio quando innesca il desiderio di toccare Gesù. Chi ha visto dove operava don Armando ne riporta l’impressione di un campo di lavoro missionario faticosissimo, specialmente nei primi tempi. Sotto la patina del sorriso e dell’ottimismo, che non lo abbandonarono mai, vi era un autentico spirito missionario e una dedizione instancabile a quelle popolazioni native. Il legame che don Armando sapeva creare era capace di far emergere nei cuori la nostalgia di Dio e di far desiderare una vita diversa. Scrisse in una lettera: noi Missionari siamo “le sentinelle” che vigilano, affinché il “terrorismo spirituale” non ci sorprenda per divorarci (24 novembre 2001). Racconta lui stesso in un altro scritto: Un brav’uomo non accettava la visita del Padrecito. E io me lo sono fatto amico. Poco fa, trovandosi in pericolo di vita, mi avvicino al capezzale del suo letto e, bontà di nostro Signore, nella calma e nella serenità ricevette tutti i conforti religiosi della Santa Madre Chiesa (24 novembre 1996). La missione in Messico gli fece vivere anche molte situazioni difficili. Così racconta in una sua lettera: Tre individui accoltellarono un ragazzo di 17 anni. Nessuno osava avvicinarsi al ragazzo per paura degli assassini. Io mi sono fatto responsabile. Mi sono avvicinato. Gli ho sollevato, leggermente, la testa insanguinata. Lo conobbi. L’ho chiamato per il suo nome. Aprì gli occhi. Mi guardò. In uno sforzo supremo mi gridò: “Padrecito, levatemi da qui”. Era vivo, ma lunedì, 23 dicembre, Aristeo volava in Cielo. Il 25 dicembre, Natale del Signore, i funerali. Il suo ultimo grido: “Levatemi da qui, Padrecito”, lo consegnai a tutti i giovani e continuo a consegnarlo. “Padre, fratello”, ci gridano i giovani, “sollevateci da questo abisso di morte, dalla droga, dal vizio, dal materialismo, dal vuoto spaventoso di ideali e di principi morali” (Pasqua 1997). Nella pastorale missionaria seppe lavorare con persone difficili. Chi stava vivendo momenti critici era compreso da don Armando perché lui trovava il modo di farli andare avanti, evitando il dramma e problemi più grossi. Il catechismo fu una delle attività che più occupò don Armando e a conferma di questo nel 2022 dieci catechiste vennero a Mestre a trovarlo. Così hanno scritto in questi giorni: Il suo spirito e il suo grande affetto per Gesù Sacramentato, Maria Ausiliatrice e per Don Bosco hanno lasciato un segno indelebile in tutti noi. È stato un dono speciale del Signore per il nostro gruppo, perché eravamo con Don Bosco di persona. Riguardo alla catechesi le sue lettere sono intrise di ricordi. Aprì scuole per catechisti, avvio la catechesi dove non c’era, portò molti al battesimo e nella Pasqua del 2002 ci fu il primo Sacerdote di razza Chinanteca. Così scrive don Armando: è un ragazzo che ho battezzato nel 1973. Dopo quasi 40 anni di sudori, il Buon Dio ha concesso in questa Parrocchia il primo Sacerdote chinanteco. Scrive il libro della Genesi: In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio ha continuato a portate luce dove non c’era attraverso don Armando. E così la luce fu lì dove prima le tenebre delle sette ricoprivano molti cuori. Portare la gente lontano dalle sette fu una delle sue grandi preoccupazioni. L’amore per la Congregazione Salesiana lo ritroviamo in queste sue parole: Mi perdoni Don Bosco se esagero. Ma voglio confessarvi che non ricordo di aver passato un giorno triste o scoraggiato in Congregazione. Ho sempre chiesto a Don Bosco e a Maria Ausiliatrice di mantenermi un cuore giovane e allegro, sempre aperto a tutto e a tutti (resoconto del 22 agosto 2012). Così scrisse don Armando con queste parole che sintetizzano la sua vita salesiana e missionaria. Fratelli cari e amici tutti, ciò che mi sta a cuore è che fin d’ora mi aiutiate a innalzare il canto di lode e di riconoscenza a Dio e alla Madonna per tutti questi doni. Da parte mia non ho motivo di esaltarmi, ma solo di manifestare sempre infinite grazie. Ciò che ho cercato sempre di propormi fu ed è rimanere continuamente fedele alla mia vocazione di Missionario salesiano, umile figlio di Don Bosco, e rimanere fedele alla Santa Madre Chiesa Cattolica (lettera del 24 agosto 2004). Grazie Signore per il dono di don Armando e donaci tante altre vocazioni salesiane dedite alla missione evangelizzatrice della Chiesa, capaci di far nascere nei giovani la nostalgia e il desiderio di toccare Gesù.
A cura di don Igino Biffi
Ispettore INE