Omelia per il funerale di don Marino Furlan
Di fronte ad una vita così silenziosa ed operosa, non possiamo permetterci, e nemmeno lo vogliamo, lunghi giri di parole ma soltanto dare testimonianza di come Dio si prende cura degli uomini attraverso i suoi figli e attraverso per noi attraverso Don Marino. Per cui non ci lasceremo andare agli innumerevoli e bei ricordi di scuola e di Valgrande, dei laboratori e delle passeggiate in montagna, ognuno li conserva nel segreto del proprio cuore.
Don Marino è salito al cielo mercoledì 14 febbraio, al mattino, dopo aver sorriso alla suora che lo accudiva. Era il mercoledì delle ceneri inizio del cammino verso la Pasqua che lui, con il suo proverbiale “vado di fretta” ha anticipato presentandosi così davanti all'Eterno Padre. La liturgia di quel giorno proponeva a tutta la chiesa le letture che abbiamo ascoltato anche oggi.
Il Vangelo illumina e dà senso al vivere dell'uomo e la vita degli uomini può essere incarnazione e interpretazione nell'oggi della Parola Eterna. Il centro del Vangelo sta in quella duplice espressione ripetuta in tutti e tra gli atteggiamenti che devono caratterizzare la vita di un figlio di Dio: la carità, la preghiera, e il digiuno. Per tre volte Gesù ci ricorda che Dio vede quello che noi compiamo nel segreto, lontano dai riflettori, e che: “Dio che vede nel segreto ti ricompenserà”.
Una vita nascosta come fu la vita di Don Marino, noi diremo riservata, riservata perché non parlava mai di sé e in genere parlava poco. Del suo essere tutto per Dio e tutto per i giovani, non sappiamo da lui direttamente niente, appunto non ne parlava, viveva la preghiera e la consacrazione in modo riservato, nel segreto, anche la liturgia eucaristica, ci ricorda qualcuno, era “asciutta scarna ed essenziale“ eppure, o proprio per questo, nel contempo profonda.
Mentre nella Chiesa di Dio ci sono grandi Santi che hanno vissuto la carità in modo eroico ed evidentissimo: pensiamo ad esempio a madre Teresa di Calcutta, la carità di don Marino fu invece nascosta dentro il gesto costante e ripetitivo dell'insegnamento inteso come atto educativo così come in diversi studenti ci hanno dato testimonianza e noi abbiamo visto.0 Istruire è educare è, come diceva don Bosco: “educare è il più grande atto di carità che un uomo po' fare ai giovani”.Ha servito e amato schiere di studenti e studentesse insegnando il contenuto e il rigoroso metodo scientifico come via per diventare uomini e donne. Per molti è sembrato solo un bravissimo insegnante, ma noi sappiamo che tutto questo era mosso dalla passione per Dio, per Don Bosco e per i giovani.
Infine la sua vita fu all'insegna del digiuno. Un digiuno così ordinario che ormai non ci si faceva più caso. Austero e sobrio nel cibo, nei vestiti e nelle parole. Questo suo stile di vita ci mostra non tanto il suo autocontrollo, la sua forza di volontà, quanto il non averne bisogno di rincorrere, come molti di noi, l'accumulo seriale di cibo cose e relazioni perché la sua vita era già piena di senso e di Dio: “E Dio che vede nel segreto ti ricompenserà”.
Una cosa gli rimproveriamo, in modo ironico un po’ come faceva lui: il non aver lasciato traccia scritta di come abbia saputo fare sintesi in sé del rigoroso metodo scientifico e della profonda e totalizzante consacrazione a Dio (73 anni di vita religiosa e 64 di sacerdozio). Non ha mai percepito la scienza come una minaccia per la fede né la fede come un limite per il rigore scientifico. Non lo sappiamo e non lo sapremo mai, ma la sua vita ne è stata un luminoso esempio di come la ricerca della verità in modo umile e silenzioso, senza mai inporla, conduce all'accoglienza del Mistero così come ci è stato indicato nella seconda lettura di oggi: “Cristo ci ha riconciliato con Dio e in lui troviamo la nostra salvezza”.
Grazie don Marino.