Figli?
Carissimi tutti,
confratelli salesiani e laici impegnati nei consigli delle CEP e nelle Equipe di PG nelle nostre opere salesiane del Triveneto.
Eccoci entrati nel mese di novembre che si apre con la solennità di Tutti i Santi e prosegue con la commemorazione dei fedeli defunti, due ricorrenze che ci ricordano chi siamo e qual è la nostra destinazione: il paradiso!
Come anticipato nel primo Focus di quest’anno, dopo aver trattato il tema della Speranza, iniziamo ora a focalizzare delle riflessioni pastorali generali sui nuclei del futuro P.O.I. (Progetto Organico Ispettoriale) che stiamo elaborando nelle diverse commissioni ispettoriali. Il P.O.I. è il documento che offre la vision, la carta di navigazione per il cammino dell’ispettoria nei prossimi anni. I diversi nuclei su cui sarà impostato il Progetto sono 4 e sono i seguenti: 1. Identità; 2. Missione; 3. Coinvolgimento Laici; 4. Ridisegno.
Iniziamo con un Focus sull'identità. Chiarisco subito che queste riflessioni non vanno a intaccare il lavoro delle commissioni sul Progetto, in quanto l’intenzione di questo Focus è di offrire semplici provocazioni per il modo di vivere la pastorale nei nostri ambienti educativi, che ci aiutino a metterci maggiormente in gioco tra di noi e con i giovani che incontriamo quotidianamente.
Ad ogni modo: partendo dalle due ricorrenze di questo inizio mese di novembre (solennità di tutti i santi e commemorazione dei defunti), dal fatto che arriviamo dal mese missionario di ottobre e da una provocazione ricevuta da un colloquio con una giovane poco tempo fa, penso che riflettere pastoralmente sulla nostra identità chieda di partire dal tema dell’essere figli. Di chi siamo figli? Questo è l’interrogativo su cui vorrei soffermarmi. Quanto, nel nostro vivere quotidiano, portiamo alla mente e al cuore il fatto di agire da figli? E figli di chi?
La Solennità di tutti i Santi ci da subito una risposta: siamo figli di Dio, e come tali siamo destinati alla vita eterna, alla beatitudine. Ma se siamo figli, siamo anche chiamati ad avere “gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù” (Fil 2,5). Questo mese può essere un’occasione per riflettere su cosa significhi vivere da cristiani, con uno sguardo che unisce cielo e terra.
Pochi giorni fa mi sono imbattuto nuovamente sulla famosa Lettera a Diogneto, dove troviamo un passaggio che ci offre un’immagine potente e universale dell’identità cristiana: “I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. (...) Vivono sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo. (...) Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati...”.
Questa descrizione ci richiama a vivere la nostra identità cristiana con uno stile di vita che ci distingue, non perché siamo separati dal mondo, ma perché siamo radicati in una realtà più grande, che ci dona speranza e forza. Siamo “cittadini del Cielo,” ma presenti con amore e impegno nelle nostre opere. La nostra identità come figli di Dio ci invita a guardare ogni persona, ogni giovane che incontriamo come un fratello, una sorella, un’anima preziosa e destinata alla pienezza della vita. Ma noi siamo capaci di guardare i giovani che incontriamo con questo sguardo di figliolanza e di appartenenza? Riusciamo a vedere in loro la bellezza e il mistero di una vita che si apre a Dio?
Pochi giorni fa, una giovane che ha fatto un’esperienza di servizio presso l’Istituto Penale Minorile di Treviso mi ha raccontato di come, entrata dentro il carcere, dopo un breve momento di smarrimento ha poi sentito la sensazione interiore di trovarsi di fronte a dei fratelli, dei figli di Dio, non a “criminali.” Questo sguardo compassionevole e fraterno mi sembra sia ciò che ci definisce e che ci distingue, portando il Vangelo nella vita reale. Mi chiedo se anche noi riusciamo, mentre facciamo le nostre attività quotidiane, a vedere nei giovani (e nei colleghi) che incontriamo ogni giorno, delle anime preziose, dei figli di Dio, anche quando i loro errori ci sfidano e ci mettono alla prova.
La commemorazione dei defunti del 2 novembre ci ricorda anche la nostra condizione di esseri-per-la-morte. Essere figli di Dio significa riconoscere con umiltà i nostri limiti e vivere con la consapevolezza di una vita donata e destinata a una dimensione più grande. Questa consapevolezza può sembrare dura, ma è proprio nell’accoglienza della nostra fragilità che scopriamo il valore profondo della vita. La nostra vocazione cristiana non è separata dal limite umano, al contrario, lo abbraccia e lo trascende. In che modo, potremmo chiederci, la consapevolezza della nostra finitudine ci spinge a vivere con pienezza ogni momento, a essere più autentici e vicini ai giovani? A riconoscere anche l’unicità dei momenti che abbiamo quando ci troviamo di fronte ad un giovane che si batte per vivere la sua vita?
Il mese missionario di ottobre ci ha introdotti al tema della missione. Come figli di Dio siamo chiamati a essere discepoli-missionari, a vivere la nostra fede come una testimonianza visibile, come “anima del mondo” che dà vita e senso, come afferma sempre la Lettera a Diogneto: “I cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo”. Questa testimonianza non è riservata a gesti eroici, ma si realizza nel quotidiano, nella pazienza e nella fiducia, nello sguardo fraterno che vede nell’altro non un problema, ma un’anima amata da Dio.
Il nostro carisma salesiano è il modo in cui viviamo questa identità di figli di Dio, accogliendo i giovani con amorevolezza, pazienza e fiducia. Negli articoli 10-20 delle Costituzioni salesiane, troviamo i pilastri del nostro essere educatori e pastori, della nostra identità: la passione per i giovani, l’educazione come mezzo di evangelizzazione, il desiderio di santità. Come Comunità Educativo Pastorale, siamo chiamati a essere una presenza viva, accogliente e attenta, capace di vedere nei giovani l’opera di Dio. Siamo tutti figli di uno stesso Padre.
don Emanuele Zof
DELEGATO PG - INE