Incontro con don Andrea Ballan.
Nato in Italia a Castelfranco Veneto, ha studiato all’ups (Università Pontificia Salesiana) di Roma e Torino, oltre che all’All Hallows College di Dublino, Irlanda. Dal 2002 al 2017 ha vissuto a Gatchina, in Russia, lavorando nel Centro di formazione professionale “Don Bosco”. Dopo aver trascorso tre anni nella comunità delle catacombe di San Callisto a Roma si è trasferito a Chisinau nella Repubblica Moldova, dove lavora ancora oggi.
Come hai conosciuto i salesiani?
Ho conosciuto i salesiani alle superiori quando ho frequentato il Collegio “Astori” di Mogliano Veneto. Sono stati i miei genitori a mandarmi dai salesiani perché volevano un ambiente tranquillo e una scuola seria. In quegli anni, infatti, le scuole superiori statali erano spesso in sciopero oppure occupate dagli studenti.
Qual è la storia della tua vocazione?
Ricordo che il nostro anziano parroco, quando ogni quindici giorni raccoglieva tutti i bambini del catechismo per le confessioni, ci faceva sempre pregare per le vocazioni al sacerdozio e desiderava che noi promettessimo a Gesù che, se avesse chiamato uno di noi, gli avremmo detto di “sì”. Io quella promessa la facevo ogni volta che andavo a confessarmi ed oggi sono qui.
Ho chiesto di diventare salesiano alla fine della quinta superiore. In verità gli anni delle superiori non sono stati tutti rose e fiori e non tutti i salesiani mi sono andati a genio. Don Bosco, però, mi ha affascinato quando ho letto le Memorie dell’Oratorio e quando in seconda superiore siamo andati in pellegrinaggio a Torino. A Valdocco mi sono sentito interpellato da don Bosco che diceva ai giovani che lo circondavano che, se avesse avuto un manipolo di giovani docili come quel fazzoletto che in quel momento stava stropicciando tra le sue mani, avrebbe potuto fare grandi cose a favore dei ragazzi.
Quando hai deciso di partire per le missioni?
Io sono solito dire che io sono andato all’estero, più che partito per le missioni.
Per me il missionario era quello con la barba lunga e bianca che lasciava la sua patria per un Paese lontano, per andare a stare in mezzo alla foresta, alla giungla o alla savana, tra le tribù dei “primitivi”, i serpenti e gli scorpioni. Io non mi sono mai sentito chiamato a questo tipo di vita. Non ho mai fatto una scelta “ad gentes” né “ad vitam”. Ho accettato invece di andare “in trasferta”, non troppo lontano, “pro tempore”, in prestito.
Sono partito la prima volta per la Russia nel 1996. Ero ancora studente di filosofia. L’ispettore di Venezia non trovava un confratello da mandare a Gatchina per accompagnare i volontari che andavano ad animare le attività estive e io mi sono offerto perché alle superiori avevo studiato un po’ di russo da autodidatta e la Russia mi affascinava. Ho continuato ad andare in Russia d’estate per tutti gli anni della formazione e, di anno in anno, diventava sempre più chiaro che il mio futuro era “segnato”. Appena ordinato, nel 2002, infatti, sono partito per Gatchina, dove sono rimasto fino al 2017, quando ho chiesto al Rettor Maggiore di rientrare in Italia, visto che la scuola che avevamo era stata chiusa alcuni anni prima e la Congregazione in Russia stava facendo delle scelte che io non condividevo.
Come sei arrivato in Moldavia?
Lasciata la Russia, pensavo di aver finito con l’Europa dell’Est, tant’è che non mi sono portato dietro neanche un libro in russo. Il mio sogno era di andare in Medioriente perché alle superiori oltre al russo mi ero messo a studiare un po’ di arabo. L’ispettore di Venezia, però, quando il mio servizio alle catacombe stava per giungere al termine, mi ha pregato di venire in Moldavia perché qui serviva uno che sapesse il russo. Così l’11 settembre 2020 sono arrivato a Chisinau. Qui all’inizio mi hanno chiesto di fare il parroco, cosa che io non avrei mai desiderato fare ma che ho accettato, e nel 2021 sono diventato anche direttore di tutta l’opera.
Com’è strutturata la presenza salesiana in Moldavia?
In Moldavia abbiamo una sola comunità, qui a Chisinau. Al momento siamo in sei salesiani, tutti italiani. Io sono il più giovane. Facciamo parte dell’ispettoria di Venezia (ine: Italia Nord-Est) e siamo collegati alle altre nostre due comunità salesiane in Romania. Ciò che ci unisce è la lingua, perché anche in Moldavia la lingua ufficiale è il romeno, anche se qui si parla ancora molto il russo e l’impronta sovietica è tuttora ben visibile ed è differente da quella lasciata dal comunismo di Ceausescu in Romania.
Il cuore della nostra opera è il cortile. L’oratorio pullula di ragazzini e di giovani che vengono a divertirsi nel tempo libero. Dopo lo stop dovuto alla pandemia, a poco a poco siamo ripartiti anche con le attività estive, i gruppi formativi e, da quest’anno, con il doposcuola.
Dietro l’oratorio sorge la nostra casa famiglia, dove accogliamo fino a dieci ragazzi abbandonati che ci vengono affidati dai servizi sociali delle varie regioni della Moldavia. Per questi ragazzi noi siamo tutto: siamo quei padri e quelle madri che non hanno avuto, quel nido sicuro dove guarire e fortificarsi per prendere il volo e guardare al proprio futuro con speranza.
A fianco dell’oratorio abbiamo il laboratorio di saldatura dove i ragazzi dei centri di formazione professionale statali della città vengono per le ore di tirocinio. I centri di formazione professionale statali moldavi, infatti, non hanno laboratori ben attrezzati e gli istruttori, quasi tutti pensionati che continuano ad insegnare per passione, non sono aggiornati. Purtroppo questo è un settore della nostra opera ancora in crisi perché facciamo fatica a trovare chi sia disposto a finanziare questi corsi che invece danno dignità ai giovani dei ceti meno abbienti ed educano gli adolescenti a guadagnarsi onestamente il pane con il lavoro delle proprie mani.
All’ingresso dell’opera svetta il piccolo campanile della nostra cappella, dedicata a Maria Ausiliatrice, che dal 2010 è diventata anche parrocchia a servizio della sparuta comunità cattolica locale.
Con lo scoppio della guerra in Ucraina, parte dei locali del nostro centro sono stati destinati all’accoglienza di chi scappava (e continua a scappare) dalle bombe. Ad oggi, più di 500 persone hanno trovato rifugio da noi. Alcuni solo per pochi giorni, altri, invece, per periodi più lunghi.
Infine, dal 2021 il Vescovo ci ha affidato una seconda parrocchia, a Crezoaia: un piccolo paesino di campagna, a 28 km di distanza da Chisinau, abitato da circa 200 persone, dove le suore fondate dal beato Edmund Bojanowski gestiscono già da 20 anni un asilo e un doposcuola.
È possibile dare un volto moldavo a don Bosco?
Don Bosco è arrivato in Moldavia 15 anni fa. È possibile dare un volto moldavo a don Bosco ma credo ci vorrà ancora del tempo. Per ora don Bosco sta assumendo sembianze più laicali che consacrate. Ad oggi non abbiamo nessun salesiano moldavo. Abbiamo però una salesiana cooperatrice che ha conosciuto i salesiani ed ha fatto la sua promessa a Mosca dove si era trasferita per lavoro diversi anni fa.
Io credo che don Bosco si stia incarnando nei nostri animatori. Sono loro che, crescendo, stanno assimilando i tratti caratteristici di don Bosco e del suo Sistema preventivo. Oggi noi iniziamo a vedere i primi lupi del sogno dei 9 anni di don Bosco diventanti agnelli che si stanno trasformando in pastori e questo ci riempie di gioia. Io credo che questi nostri animatori, imbevuti di valori cristiani e buone pratiche salesiane, sapranno essere in un futuro prossimo bravi genitori oltre che onesti cittadini.
Come sono i giovani? Che cosa sognano?
I giovani moldavi sono un universo variegato. Tra loro ci sono quelli che, sostenuti dalle loro famiglie, si impegnano nello studio, coltivano i loro interessi frequentando scuole sportive, di musica, d’arte, ecc., fanno progetti per il futuro. Ci sono poi quelli che, invece, lasciati a se stessi, passano il tempo a giocare con il telefonino o a bighellonare con gli amici, vivendo alla giornata. Non mancano, infine, i giovani con comportamenti devianti che vanno a nutrire il mondo della criminalità.
Anche qui noi vediamo come la pandemia abbia inciso negativamente sulla vita dei giovani: mesi e mesi di scuola online e di confinamento in casa hanno lasciato un segno profondo nella loro psiche. Molti si sono immersi nel mondo virtuale, fino a diventarne succubi, e ora fanno fatica a staccarsene e a fare i conti con la realtà.
Tra i sogni che i giovani moldavi nutrono, direi che uno dei più comuni, purtroppo, è quello di trasferirsi all’estero. Molti non vedono un futuro per sé in Moldavia, anche a motivo della corruzione che ancora dilaga nella pubblica amministrazione, favorita da leggi draconiane e da una burocrazia anchilosata.
Molti, infine, sono abbagliati dal mito dell’Occidente, dal lusso sfrenato che il web veicola, dal miraggio del colpo di fortuna a portata di mano che ti esime da una vita fatta di sacrifici quotidiani e piccoli successi.
Quali sono le sfide più rilevanti per la vostra presenza in Moldavia?
Le sfide da affrontare in Moldavia sono molte, soprattutto per un’opera come la nostra ancora giovane (l’opera è stata inaugurata nel 2007). Nonostante siamo nella capitale e nonostante la forte emigrazione in Europa, una accentuata diffidenza verso gli stranieri e in particolare verso i cattolici è ancora palpabile non solo tra la gente semplice ma anche tra il clero ortodosso e le autorità civili. Questo continuo sospettare della bontà delle nostre intenzioni, del nostro desiderio di aiutare i giovani senza cercare il nostro tornaconto, è davvero avvilente.
Hai qualche progetto che ti sta particolarmente a cuore per il futuro?
Un progetto che mi sta particolarmente a cuore è la costruzione di una scuola primaria e secondaria. Una scuola salesiana, cattolica ed ecumenica. Io credo che se vogliamo consolidare la presenza di don Bosco in Moldavia dobbiamo puntare sulla scuola. La scuola, a mio avviso, darebbe maggiore visibilità alla nostra opera e sigillerebbe il patto educativo con quelle famiglie disposte ad affidarci i loro figli per un cammino di crescita umana di 9/12 anni.
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