04/02/2023

Omelia Capitolo Ispettoriale

Mestre, 4 febbraio 2023

Eucarestia di conclusione del CI7

Il Dio della pace vi renda perfetti in ogni bene perché possiate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che a lui è gradito per mezzo di Gesù Cristo (Eb 13,20-21). Questa espressione della lettera agli Ebrei mi sembra che sintetizzi perfettamente il senso e il motivo ultimo del nostro lavoro capitolare: compiere la sua volontà. È questo che ci deve stare a cuore. Se il lavoro che abbiamo fatto non ci aiuta a vivere quotidianamente nella sua volontà non serve. Vi invito a chiedere ogni giorno al Signore il dono di aderire alla sua volontà, di fare dei discernimenti il luogo in cui scegliere ciò che a lui è gradito (Eb 13,21), come dice la Lettera agli Ebrei. Papa Francesco rivolgendosi ai sacerdoti e ai consacrati nella Cattedrale di Rabat in Marocco ha detto: Il problema non è essere poco numerosi, ma essere insignificanti, diventare un sale che non ha più il sapore del Vangelo – questo è il problema! – o una luce che non illumina più niente.1 È la passione per la volontà di Dio che rende significative le nostre vite. È inutile essere in tanti se quello che facciamo si radica solo nel proprio io, se il carisma salesiano perde il suo sapore, se prevalgono le logiche del mondo e non quelle del Vangelo. I cinque pani e i due pesci che noi gli offriamo si moltiplicano nelle sue mani se cerchiamo con tutte le nostre forze solo la sua volontà. È una ricerca che deve farsi preghiera, offerta, disponibilità a Dio e solo a Dio. L’inizio del Vangelo ci regala una bella immagine: gli apostoli si riunirono attorno a Gesù (Mc 6,30). Riunirsi attorno ad una persona significa metterla in mezzo. È questa la strada da percorrere: mettere Gesù in mezzo, vivere con Gesù in mezzo a noi. Le nostre comunità avranno linfa nella misura in cui si ritroveranno attorno a Gesù. I nostri incontri lasceranno il segno se metteremo Gesù in mezzo. Il Papa due giorni fa a Kinshasa ha ricordato ai sacerdoti e ai consacrati che la priorità della nostra vita è l’incontro con il Signore, specialmente nella preghiera personale, perché la relazione con Lui è il fondamento del nostro operare. Non dimentichiamo che il segreto di tutto è la preghiera, perché il ministero e l’apostolato non sono prima di tutto opera nostra e non dipendono solo dai mezzi umani. E voi mi direte: sì, è vero, ma gli impegni, le urgenze pastorali, le fatiche apostoliche, la stanchezza e così via rischiano di non lasciare tempo ed energie sufficienti alla preghiera. Per questo vorrei condividere alcuni consigli: anzitutto, manteniamo fede a certi ritmi liturgici della preghiera che scandiscono la giornata, dalla Messa al breviario. [...] Quando siamo in piena attività, possiamo ricorrere alla preghiera del cuore, a brevi “giaculatorie” – sono un tesoro, le giaculatorie –, parole di lode, di ringraziamento e d’invocazione da ripetere al Signore ovunque ci troviamo. La preghiera ci decentra, ci apre a Dio, ci rimette in piedi perché ci pone nelle sue mani. Essa crea in noi lo spazio per sperimentare la vicinanza di Dio, perché la sua Parola diventi familiare a noi e, attraverso di noi, a quanti incontriamo. Senza preghiera non si va lontano.2 Vivere quanto il Papa ci indica significa ritrovarsi attorno a Gesù, metterlo in mezzo nella nostra missione e nelle nostre comunità, metterlo in mezzo a tutti i nostri discernimenti. Sceso dalla barca, Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore (Mc 6,34). Il nostro è il Dio della compassione e assicura di non lasciarci mai soli. È frequentando Cristo che anche noi possiamo divenire compassionevoli. Il Rettor Maggiore ci ricorda di vivere la compassione soprattutto con i giovani più poveri e abbandonati, con tutti coloro che sono come pecore che non hanno pastore (Mc 6,34). Una delle prove della bontà del lavoro capitolare sarà la crescita, come ispettoria, nella capacità di compassione, ovvero di prossimità, di vicinanza tra noi, con i laici e con i giovani, soprattutto quelli più in fatica. Nella nostra spiritualità la compassione trova nella paternità il grembo più adatto per esprimersi. Questo è un atteggiamento chiave sia nella missione giovanile sia nella vita comunitaria. Ce lo ha ricordato anche il CG28 parlando di accompagnamento. Al riguardo così scrive don Rinaldi ai salesiani: Vi scongiuro nelle viscere della carità di N. S. Gesù Cristo di far rivivere in voi e intorno a voi questa tradizione della paternità spirituale. [...] Siate veramente padri dell’anima dei vostri giovani. Non abdicate alla vostra paternità spirituale, ma esercitatela!3 Ci si sente figli quando c’è un padre così come ci si sente fratelli quando c’è un padre. Sia la paternità il nostro biglietto da visita per i giovani e il collante delle nostre comunità, sia la paternità il volto delle scelte che faremo come Capitolo Ispettoriale. Don Bosco continui a farci da maestro affinché viviamo sempre più la nostra vita sia testimonianza di un amore compassionevole e paterno per tutti i giovani che incontriamo.

A cura di don Igino Biffi

Ispettore INE