Carissimi tutti,
confratelli salesiani e laici impegnati nei consigli delle CEP e nelle Equipe di PG nelle nostre opere salesiane del Triveneto.
Eccoci entrati nel mese di ottobre. Come promesso, questo Focus sarà incentrato sul tema della Proposta Pastorale dell’anno: la Speranza. Tra tutte le virtù teologali (le altre sono Fede e Carità) mi sembra che la Speranza sia la virtù più innata, ma dobbiamo capire se è realmente tale. “Speriamo bene”; “Ti spero bene”; “Speriamo di passare”: “speriamo che non venga” … sono tutte frasi che diciamo spesso, magari addirittura incrociando le dita (per scaramanzia). È questa dunque la speranza cristiana?
Tra tanti testi letti in questo periodo, che invitano a riflettere di più sulla speranza (abbiamo ricevuto il quaderno di lavoro del MGS Italia e la rivista Note di Pastorale Giovanile con tantissimi approfondimenti sul tema), credo che rimanga comunque come pietra miliare per comprendere bene cos’è la speranza cristiana l’enciclica Spe Salvi di Papa Benedetto, scritta nel novembre 2007.
Riprendo una citazione lunga ma sintetica dell’enciclica:
L'uomo ha, nel succedersi dei giorni, molte speranze – più piccole o più grandi – diverse nei diversi periodi della sua vita. A volte può sembrare che una di queste speranze lo soddisfi totalmente e che non abbia bisogno di altre speranze. Nella gioventù può essere la speranza del grande e appagante amore; la speranza di una certa posizione nella professione, dell'uno o dell'altro successo determinante per il resto della vita. Quando, però, queste speranze si realizzano, appare con chiarezza che ciò non era, in realtà, il tutto. Si rende evidente che l'uomo ha bisogno di una speranza che vada oltre. Si rende evidente che può bastargli solo qualcosa di infinito, qualcosa che sarà sempre più di ciò che egli possa mai raggiungere. In questo senso il tempo moderno ha sviluppato la speranza dell'instaurazione di un mondo perfetto che, grazie alle conoscenze della scienza e ad una politica scientificamente fondata, sembrava esser diventata realizzabile. Così la speranza biblica del regno di Dio è stata rimpiazzata dalla speranza del regno dell'uomo, dalla speranza di un mondo migliore che sarebbe il vero « regno di Dio ». Questa sembrava finalmente la speranza grande e realistica, di cui l'uomo ha bisogno. Essa era in grado di mobilitare – per un certo tempo – tutte le energie dell'uomo; il grande obiettivo sembrava meritevole di ogni impegno. Ma nel corso del tempo apparve chiaro che questa speranza fugge sempre più lontano. Innanzitutto ci si rese conto che questa era forse una speranza per gli uomini di dopodomani, ma non una speranza per me. E benché il « per tutti » faccia parte della grande speranza – non posso, infatti, diventare felice contro e senza gli altri – resta vero che una speranza che non riguardi me in persona non è neppure una vera speranza. E diventò evidente che questa era una speranza contro la libertà, perché la situazione delle cose umane dipende in ogni generazione nuovamente dalla libera decisione degli uomini che ad essa appartengono. Se questa libertà, a causa delle condizioni e delle strutture, fosse loro tolta, il mondo, in fin dei conti, non sarebbe buono, perché un mondo senza libertà non è per nulla un mondo buono. Così, pur essendo necessario un continuo impegno per il miglioramento del mondo, il mondo migliore di domani non può essere il contenuto proprio e sufficiente della nostra speranza. E sempre a questo proposito si pone la domanda: Quando è « migliore » il mondo? Che cosa lo rende buono? Secondo quale criterio si può valutare il suo essere buono? E per quali vie si può raggiungere questa « bontà »?
Ancora: noi abbiamo bisogno delle speranze – più piccole o più grandi – che, giorno per giorno, ci mantengono in cammino. Ma senza la grande speranza, che deve superare tutto il resto, esse non bastano. Questa grande speranza può essere solo Dio, che abbraccia l'universo e che può proporci e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere. Proprio l'essere gratificato di un dono fa parte della speranza. Dio è il fondamento della speranza – non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l'umanità nel suo insieme. Il suo regno non è un aldilà immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il suo regno è presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge. Solo il suo amore ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua natura, è imperfetto. E il suo amore, allo stesso tempo, è per noi la garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell'intimo aspettiamo: la vita che è «veramente» vita.
Papa Benedetto ci invita a chiederci a che tipo di speranza stiamo educando i giovani che incontriamo nelle nostre opere. Ad una speranza semplicemente mondana, intraterrena, basata sull’attesa che si realizzino (forse, “speriamo”) i nostri piccoli desideri? Oppure alla speranza concreta che viene dalla certezza della fede nel Risorto e che ci permette di vivere una vita in pienezza?
Sempre Benedetto prosegue l’enciclica mostrando tre luoghi di esercizio pratico per crescere nella speranza. Sono tre luoghi reali, su cui forse potremmo dedicare più tempo nella riflessione con i giovani nei nostri dialoghi con loro e nei momenti di “buongiorno” che possiamo offrire. Questi luoghi sono: 1. La preghiera; 2. L’azione e la sofferenza; 3. il Giudizio. La preghiera è il primo luogo di apprendimento della speranza. Attraverso il dialogo con Dio, l'uomo si apre a una relazione personale con Lui, che è la fonte della vera speranza. Nella preghiera, si impara a fidarsi di Dio, ad attendere pazientemente i Suoi tempi e a rafforzare la fede, specialmente nei momenti di difficoltà. La sofferenza è un luogo in cui si può imparare la speranza in modo particolarmente intenso. Insieme all’azione e all’impegno, la sofferenza accettata e offerta può avere un significato redentivo. La speranza nasce nel contesto della capacità di sopportare la sofferenza con fede, confidando che Dio è presente e che la sofferenza non è l'ultima parola. Il giudizio finale, o la prospettiva della vita eterna, è un altro luogo di apprendimento della speranza. La consapevolezza del giudizio finale e della vita eterna porta l’uomo a vivere con la speranza che, nonostante le ingiustizie e le sofferenze di questo mondo, ci sarà un futuro di giustizia e pace in Dio. Questa prospettiva incoraggia a vivere secondo i valori del Vangelo e a perseverare nella speranza.
Sono tutti luoghi difficili da affrontare, ma indispensabili per educarci a crescere alla Speranza Cristiana, per sperare bene.
don Emanuele Zof
DELEGATO PG - INE